Riscoprire il “saper fare” ai tempi della crisi

La tanto attesa “Fase 2” è arrivata. Per alcuni è un disastro preannunciato, per altri è la salvezza del posto di lavoro. La situazione è delicata ed è inutile far polemica su quello che si potrebbe o si dovrebbe fare.

La mia capacità di previsione è piuttosto limitata, come quella di chiunque non abbia un dottorato in economia e simili. L’unica cosa che prevedo, e che potrebbe prevedere chiunque, è che non saranno tempi allegri.

In tutto questo, però, ci può essere un piccolo lato positivo. O almeno un fattore che io interpreto come positivo: la riscoperta del saper fare.

È da un po’, in realtà, che vorrei scrivere di questo argomento, precisamente da quando ho cominciato a studiare la corrente della decrescita per un esame universitario. Spiegato in pochissime parole, per decrescita si intende un insieme di studi e di conseguenza un apparato teorico che mira a “smontare” lo stile di vita capitalistico. In questo senso decrescere vuol dire ridurre la produzione e il consumo per ritrovare l’equilibrio tra uomo e ambiente ormai perso.

Per tediarti ancora un po’ ti vorrei spiegare che molti studiosi, tra cui Mauss e Illich, hanno notato come il mercato sia un’invenzione moderna e non obbligatoriamente necessaria. Il mondo ne ha fatto a meno fino al 1800. Le nostre interpretazioni storiche, ad esempio, delle monete ai tempi romani, sono errate perché esse non venivano utilizzate per comprare beni, come a noi viene naturale pensare.

Tralasciando questo inciso, di cui magari parlerò in un articolo successivo, la decrescita crede fortemente nei concetti di condivisione, autodeterminazione e, in sostanza, saper fare.

Per approfondire questi punti potrei dire che:

  • Per condivisione si intende il poter e soprattutto voler condividere le proprie conoscenze e le proprie capacità, mettendole a disposizione degli altri non in cambio di denaro ma per ottenere, a propria volta, altre conoscenze e capacità altrui. In questo modo è possibile uscire dal circuito del mercato. Ne sono un esempio le banche del tempo.
  • Per autodeterminazione, invece, si intende la possibilità di poter scegliere il proprio destino senza rimanere ingabbiati nel circuito di mercato. Senza sentirsi un criceto sulla ruota, costretto a girare perché qualcun altro ha deciso che funziona così.

Per saper fare, la parte che mi interessa di più, si intende tornare (senza però rimpiangere i tempi che furono, quindi sempre con un occhio al futuro per non ricadere nel tradizionalismo) a saper fare le cose senza ripiegare su quelle pronte.

La tanto attesa Fase 2 della Pandemia Coronavirus potrebbe “costringerci” a tornare a saper fare. Può essere un lato positivo. Possiamo ridurre le nostre esigenze legate al mercato, spendere meno, condividere di più e imparare molto.

Io non so se il capitalismo morirà, ma so per certo che ha subito una bella batosta. Che le nostre entrate non saranno più quelle di un tempo e che gli scenari più rosei prevedono una situazione economica simile a quella del dopoguerra. Il Pil è crollato e già prima non è che il dato fosse poi così incoraggiante. La decrescita, però, sostiene che il Pil è un misuratore sbagliato.Un Pil alto non garantisce la felicità e anzi, i popoli non sono mai stati tristi come come in questo periodo di neoliberismo.

Vero o no che sia, noi ci troviamo a dover fare i conti con una situazione economica che si prospetta disastrosa. Fortuna vuole che siamo minimalisti e che il consumismo non ci piacesse neanche prima. Oltre a poter consumare meno, però, possiamo consumare quel poco in maniera intelligente. E qui torna il nostro bel saper fare. Quasi ogni prodotto che acquistiamo ha un suo corrispettivo che si può realizzare in casa con la metà della spesa. Ne sono alcuni esempi i prodotti per pulire, i piatti da cucinare, i cosmetici e i prodotti per l’igiene. Per non parlare, poi, delle riparazioni di vestiti e oggetti. O la loro creazione da zero, magari con materiali e tecniche semplici.

Io non so fare praticamente niente di tutto questo e sono una degna figlia degli anni ’90, del confezionato e del precotto. Ma posso e voglio imparare. Quasi quasi potrei tenere una rubrica dei miei disastrosi tentativi per far sì che altri, a loro volta, possano imparare dai miei errori.

Saper fare sarà necessario ed è un ottimo modo per crescere dal punto di vista esperienziale. I benefici dell’attività pratica sono indiscussi. Insomma, di necessità virtù, per usare un detto popolare.

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